Era stato concepito per salvare il fratellino affetto dalla leucemia, ma viene alla luce dopo mezz’ora dalla morte della madre, venuta a mancare per colpa di un ictus a pochi giorni dal parto. Una corsa disperata in ospedale nella speranza di riuscire a salvarlo, il cuore del piccolo Francesco batteva ancora ma il suo cervello era rimasto particolarmente compromesso da quei trenta minuti vissuti nel ventre di una mamma senza vita. Non solo. Il piccolo aveva anche un insufficienza polmonare, il diabete neonatale, la paralisi della deglutizione e un grave ritardo psicomotorio. Le sue aspettative di vita erano vicine allo zero se accanto a lui non si fosse materializzata una donna di nome Rosalba Oro, una 71 enne, mamma di due figlie e volontaria all’ospedale Pausilipon.
Ecco alcune parole di Rosalba dette a ilMattino
Cominciamo dalla fine.
«Francesco vive con noi da nove anni. Dal giorno in cui ho capito che mi sarei occupata di lui tutta la vita: il padre ha sempre detto che non poteva garantirgli alcun tipo di assistenza».
Quindi lo ha adottato il piccolo Francesco?
«Non proprio. Il bambino era ad altissimo rischio, per questioni ereditarie ci hanno consigliato l’affidamento sine die con cui mi impegnavo a curarlo per sempre senza però averlo adottato».
Un affido speciale, insomma.
«Lo consentono solo quando si tratta di minori che nessuno vuole. Adesso l’affidataria è mia figlia Daniela. Sono anziana, la mia preoccupazione è sempre stata quella di garantire un’assistenza a Francesco anche quando mio marito ed io non ci saremo più e Daniela è la persona giusta per farlo».
Una scelta difficile quella di prendere in cura un bimbo cerebroleso. Che cosa l’ha spinta a farlo?
«L’amore. Si dice così? Quando l’ho visto per la prima volta era appena uscito da 13 mesi di terapia intensiva e doveva essere trasferito al Santobono per un nuovo intervento chirurgico. I medici dissero a noi volontarie che non lo avrebbero operato se non lo avessimo assistito al posto dei genitori».
Quindi?
«Francesco finì in sala operatoria e noi ci occupammo dell’assistenza. Poi arrivò Pasqua, le volontarie giustamente andarono un po’ in vacanza e intorno a quel lettino rimanemmo in tre: mio marito, mia figlia ed io. A quel punto chiedemmo di portarcelo a casa».
Con l’autorizzazione del giudice.
«Certo. Anche se l’assistente sociale insisteva perché se ne occupasse il padre visto che c’era, ma ancora una volta venne meno così come tutta la famiglia della madre del bambino: sette persone tra fratelli e sorelle».
Nessuno disponibile?
«Macché, Francesco era solo. Eravamo l’unica alternativa».
Com’erano le sue condizioni di salute?
«Gravi. Magro come un chiodo, vomitava di continuo, poteva nutrirsi solo attraverso una sonda inserita direttamente nello stomaco, aveva perfino le pupille dilatate per l’esposizione ai neon. Mi dissero tutti che non avrebbe avuto vita lunga».
Invece sono passati circa nove anni.
«E abbiamo fatto tanti progressi».
Quali?
«Non mangia più attraverso il sondino, lo aiuto io a masticare muovendogli la mandibola. Finalmente muove anche qualche passo. Un piccolo miracolo: in quelle condizioni nessuno si sarebbe mai aspettato che sarebbe riuscito a farlo».
Quindi cammina?
«Non esageriamo. Se gli dai la mano per un po’ ce la fa, ma poi gli manca l’equilibrio. Ci ho messo due anni per cercare di tenerlo con la schiena dritta, quattro per metterlo seduto sul vasino e sette per fargli capire come si apre e chiude la bocca».
Come passa la giornata Francesco?
«Va anche a scuola. Riesce a leggere qualcosa indicando le parole con le dita perché purtroppo non parla».
Nella tragedia che ha vissuto il piccolo Francesco è stato fortunato ad incontrare lei e la sua famiglia.
«Questo è l’errore. Siamo noi che dobbiamo ringraziarlo. Senza di lui la nostra vita non sarebbe bella e gioiosa com’è».