Diventare madre nel deserto lasciato dal sisma. Le statistiche dicono che in molte, specie nel primo trimestre, non ce la fanno: gli aborti spontanei sono fra le prime conseguenze di un evento così drammatico. L’ansia e la depressione delle puerpere le seconde, con tutte le complicazioni del caso, che si ripercuotono sui piccoli. Roberta sospira, ringrazia il cielo che suo marito, quella notte rimasto ad Amatrice mentre lei era ad Arquata del Tronto dai nonni, sia miracolosamente sopravvissuto: «Io ero nel lettone con Nicole. Quando tutto ha cominciato a tremare me la sono stretta addosso, aspettavo che finisse. E non finiva, non finiva mai». La corsa fuori, le cose raccolte in fretta e furia, la notte senza risposte e senza quiete. «Oggi è solo paura».
Si somma a quella del parto, che già è così presente in condizioni di normalità. Si somma a quella per Nicole, che ha appena 17 mesi e che dagli eventi straordinari degli ultimi giorni è uscita stravolta. La famiglia di Roberta ha perso tutto: la casa di Amatrice, quella dei genitori di lei inagibile ad Arquata, quella dei suoceri inagibile ad Accumoli. Per fortuna una zia di Torino ha aperto le porte della sua dimora vacanziera a Villa Rosa di Martinsicuro, vicino Ascoli. Un rifugio sicuro, ma sconosciuto: «Qui siamo soli. E poi? Dove andremo? Come faremo?». Roberta è insegnante precaria di matematica, l’anno scorso aveva fatto una sostituzione all’alberghiero del paese: «È la scuola che è rimasta in piedi, ma ora chissà cosa succederà anche lì…».
Finale Emilia. C’era anche la culletta di Pietro, fra le macerie del sisma del 2012. Giuditta, proprio come Roberta, era incinta quando la loro vita fu scossa dal terremoto: ansia, terrore, incertezza. E lì, in Emilia, erano tante le donne in gravidanza tra gli sfollati. A sua mamma, Antonella Diegoli, anima del Movimento per la vita locale, venne l’idea di un “Pronto soccorso emotivo” dedicato soltanto a loro. Volontari al lavoro, uno psicologo a disposizione (Gino Soldera, il presidente dell’Associazione psicologi prenatali), l’aiuto di tutti gli attori impegnati nei soccorsi: in meno d’una settimana l’idea diventò uno spazio in nella tensostruttura dedicata agli sfollati. E le donne assistite un gruppo di quasi 20, oltre 200 quelle raggiunte in seguito, molte rimaste in contatto con il Cav fino ad oggi. La mattina del 24 agosto il telefono di Antonella prende a suonare. Prima Luisa, poi Anita: «Anto, dobbiamo fare qualcosa per quelle mamme». Già, ma chi sono? Dove? E cosa c’entra l’Emilia col Lazio, e le Marche? La terza telefonata arriva da Maria Laura del Movimento per la vita di Rieti: «Antonella, abbiamo una mamma che ha bisogno d’aiuto». Tre giorni dopo ecco il numero di telefono di Roberta, la prima chiamata, i consigli, il supporto.
E adesso che si fa? «Quello che abbiamo fatto in Emilia. Aiutiamo lei e tutte le altre», spiega Antonella (per richieste e disponibilità: adiegoli@tiscali.it). I Movimenti per la vita di Finale, Rieti, Ascoli Piceno col supporto di Federvita Emilia, Lazio e Marche sono già in coordinamento. Un servizio simile non è previsto dal Servizio sanitario, la Protezione civile non lo prevede nello specifico. Così i volontari stanno incontrano i responsabili delle tendopoli e dei servizi d’emergenza sul territorio per offrire il loro sostegno alle donne in gravidanza, o con bimbi appena nati, che siano in difficoltà. Ne hanno trovate già una decina. Quanto a Roberta, «visto che Lisa e Marta si sono rese disponibili, ho immediatamente pensato a un abbinamento, una sorta di adozione a distanza». Vogliono aiutarla concretamente con mobili, passeggino, giochi, pannolini. «Se la cosa funziona, potremmo riproporre il modello per tutte le mamme che ci chiederanno aiuto, da una parte, e che ce lo offriranno dall’altra – continua Antonella –. È incredibile come si sia creato questo ponte tra l’Emilia e il Centro Italia, come la solidarietà abbia creato immediatamente la risposta a un bisogno». Il ponte delle mamme, più forte di due terremoti.