Davide (nome di fantasia, per proteggere la sua identità), ha dieci anni e va in quarta elementare. Spesso ha bisogno di parlare a voce alta anche durante le lezioni o di alzarsi dal banco. Non vede bene, infatti, è in grado di distingue le persone attraverso il tatto e dall’odore. E quando vuole le coccole muove il naso e dice: “Mamma, facciamo i cagnolini?”. Studia, pratica l’ippica e ha tanti amici che lo invitano alle feste ma, purtroppo, non gli è possibile frequentare il catechismo nella stessa parrocchia dei suoi compagni di classe. Il motivo? “La sua presenza non permetterebbe agli altri bambini di seguire la celebrazione della messa”.
Una situazione di mancata inclusione che sua madre M.R. non può accettare: “Non punto il dito contro nessuno. Ma voglio che mi si spieghi quello che, nonostante tante parole, non sono riuscita a capire”. Tutto ha avuto origine un anno fa, quando la donna partecipa a un incontro di mamme: “In quell’occasione il parroco mi disse che ne avremmo dovuto riparlare in privato – dichiara la mamma – Preferii lasciar perdere. Ma quest’anno si trattava di iscrivere anche l’altro mio figlio di otto anni. E allora ci ho riprovato”.
Verso la fine di settembre incontra don Vito Marziliano in parrocchia: “Con me c’era un’amica, volevo essere certa che ci fosse una persona più obiettiva di me. Lui non si ricordava e mi ha chiesto che problemi avesse Davide – prosegue M.R. – Poi ha aggiunto: “Non ho esperienza con questi soggetti”. Io gli ho assicurato che il bambino avrebbe avuto sempre l’assistenza di un’educatrice”. Poi ha iniziato con le domande: “Mi ha chiesto se l’educatrice riuscirebbe a far capire a mio figlio il messaggio cristiano e se lui ha necessità di alzare la voce o alzarsi spesso. E che in quel caso sarebbe stato difficile farlo partecipare anche alla messa”.
Del rifiuto di don Vito ne vengono a conoscenza anche delle mamme di altri bambini, le quali hanno chiesto dei chiarimenti. “Ha risposto loro che la parrocchia non è una scuola di calcetto”. E che subito dopo scelgono di trasferirli in altre parrocchie cittadine, pur con numerose difficoltà per gli spostamenti. A distanza di giorni, però, M.R. non trova un perché: “Sono disorientata.. Ha senso nel 2017 parlare di tematiche come queste, che si credevano superate? E lui, parroco social, è autentico o ricoperto di una patina di ipocrisia? Negare i sacramenti a mio figlio è come negare l’estrema unzione”.
Sul telefonino la mamma conserva le foto di Davide attorniato dagli amici mentre spegne le candeline, di Davide che ride a cavallo, di giornate felici con tutta la famiglia. “Mio figlio è per noi fonte di arricchimento continuo, con la sua allegria. Non voglio accusare nessuno – conclude la donna – ma chiedo soltanto che su questi temi si faccia informazione, che ci sia più consapevolezza e meno finta accettazione”.
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